La volta che riuscimmo finalmente a scoprire Marrakech!
Venerdì sera, inizio di un weekend prolungato, stazione di Meknes, zaino in spalla, pronti ad affrontare 7 lunghe ore di treno per scoprire (era ora) la famosa città rossa: Marrakech.
Arrivo previsto dopo mezzanotte, incrociamo le dita sperando che il treno non faccia ritardo. Il viaggio procede a meraviglia, arriviamo a destinazione in perfetto orario. Chiamiamo il Riad prenotato per chiedere conferma dell’autista promessoci ma dall’altra parte ci dicono che “l’autista non risponde, se non c’è, prendete il taxi”. Cominciamo bene…
Effettivamente in stazione non ci aspetta nessun autista, non avendo altra scelta prendiamo quindi un taxi, che ci lascia all’ingresso della medina, e aspettiamo che qualcuno del Riad ci venga a prendere… Dopo mezz’ora di attesa vediamo arrivare un ragazzo che ci guida fino al Riad, ci offre un thè alla menta e, prima di darci le chiavi della camera, ci chiede di aspettare il responsabile. Quando arriva questo ci dice che non potremo dormire nella camera prenotata in quanto il Riad è al completo (vedi alla voce overbooking). Dice di essere così gentile da averci persino prenotato un’altra camera in un altro Riad che ha pagato di più, mettendo di tasca sua la differenza.
E’ tardi, siamo stanchi e pur infastiditi non poco, non vogliamo fare storie e preferiamo rimandare all’indomani eventuali discussioni. Appuntamento alle 10 della mattina seguente affinché ci riporti al nostro riad per la colazione.
Quando entriamo nella camera sono le due del mattino, posiamo le nostre cose in una camera spartana, senza finestre, nel cui bagno il giorno dopo avvisteremo un simpatico scarafaggio.
Alle dieci, senza sorprese, il tipo con cui avevamo appuntamento non si fa vivo… aspettiamo pazientemente mezz’ora, dopodiché ci mettiamo in cammino per cercare di trovare il Riad da soli e lo vediamo venire verso di noi. Ennesima sorpresa: la colazione si farà in un terzo riad ma dopo, promesso, torneremo a quello che abbiamo prenotato (e la cui media – vicina al 9 – su booking.com non lasciava presagire nulla di negativo).
Nonostante questa piccola disavventura, non vogliamo farci rovinare il nostro week-end a Marrakech, che aspettavamo da un bel po’. Cominciamo il giro della città con la visita alla scuola coranica Medersa Ben Youssef, a qualche minuto a piedi, nel cuore della Medina. L’architettura è molto simile alle scuole coraniche visitate a Fès e Meknes. La differenza più vistosa è data dal numero di turisti, qui impressionante.
Sarebbe ingeneroso però segnalare questa come una differenza, quella di Marrakech è infatti anche molto più grande delle altre due, oltre che in migliori condizioni (con molti più visitatori paganti, è anche normale).
Ci infiliamo nei suoi corridoi, perdiamo quasi completamento il senso dell’orientamento, esploriamo le piccole camere per studenti, ammiriamo la vista dalle finestre così minuziosamente decorate.
Anche se non è la prima scuola coranica che visitiamo, restiamo ogni volta come ipnotizzati davanti a queste mura, porte e finestre così perfettamente intagliate. Provando ad immaginare la maestria necessaria per raggiungere un tale risultato, non si può che rimanere impressionati.
Ciò che più ci ha colpito sin dai primi passi nella medina di Marrakech, è la larghezza delle sue strade. Qui, anche quando c’è molta gente, non si arriva mai alla ressa, non come nel Souk di Meknès, dove si può andare avanti solo a fila indiana, stretti come sardine. Passiamo davanti agli stand di biscotti, babbucce, lanterne e altre cianfrusaglie colorate e ci segniamo mentalmente i nostri preferiti per tornarci.
Attraversiamo la mitica piazza Jemaa el Fna, praticamente vuota, proseguiamo sulla Rue Kennaria ed entriamo in un ristorante meno frequentato rispetto a quelli della piazza. Ordiniamo un assortimento di insalate marocchine, un abbondante cous cous al pollo e un delizioso tajine vegetariano.
Il ristorante Dar Chef ha aperto solo da qualche mese, non è situato in un posto affollato da turisti, anche se a pochi passi dalla più celebre delle attrazioni di Marrakech, ma il suo successo è dato dal passaparola dei suoi clienti.
Un posto pulito (sembra normale, ma è un dettaglio di non poco conto), accogliente, dove si mangia bene e si può persino imparare a cucinare uno o più piatti della tradizione marocchina (e il proprietario parla un italiano perfetto!). Lo chef propone dei corsi di cucina (da prenotare) dove si può imparare a cucinare il piatto che si preferisce, per poi degustarlo. Se torneremo a Marrakech, proveremo senz’altro!.
Proseguiamo il nostro tour dirigendoci verso il Palazzo El Badi, chiamato anche Badia, da non confondere con il Palazzo Bahia. Arriviamo davanti alle rovine di quello che una volta era un immenso e fastoso palazzo costruito alla fine del 16.mo secolo. Un secolo dopo, quando il Sultano Moulay Ismail decise di trasferire la capitale da Marrakech a Meknès, il palazzo Badi venne preso d’assalto e in parte distrutto, per prendere quanto di più ricco ci fosse e usarlo per la costruzione della nuova città imperiale. Anche se del Palazzo di una volta non resta granché, le imponenti mura di cinta e gli enormi spazi fanno comunque il loro effetto.
Le mura color rosso sabbia del deserto su cui sono posati numerosi nidi di cicogne, ci ricordano un po’ lo Chellah di Rabat.
Esploriamo il sito, i suoi giardini, l’esposizione fotografica che racconta la storia della città, e finiamo su una terrazza che offre un panorama dall’alto a 360° sulla città, da dove si intravedono, sullo sfondo, le montagne dell’Atlante.
A pochi passi da lì ci sono le Tombe Sadiane, Mausoleo dell’omonima dinastia, e riusciamo ad entrare appena in tempo, prima della chiusura (a metà pomeriggio). Quando Moulay Ismail, primo sovrano della dinastia Alaouita, ancora al potere oggi, prese il potere sui Sa’diani, ordinò di distruggere ogni traccia della loro presenza, eccezion fatta per le loro tombe, il cui ingresso fu murato. Fu solo nel 1917 che la necropoli reale fu scoperta. E’ di una bellezza unica, le tombe della famiglia reale sono situate nella Stanza delle dodici colonne, decorata con zellige colorati, colonne di marmo banco e pareti ricche di intarsi. La visita non richiede molto tempo ma merita davvero.
Sulla strada verso il riad, per riposarci prima di ripartire, passiamo davanti ad una moschea “verde”, non per il suo colore ma per il tabellone che ne indica la potenza fotovoltaica, l’energia prodotta e le emissioni di CO2 così evitate. Fotografiamo il cartello, ma sentiamo che la cosa non sembra piacere ad un gruppo di donne sedute sulla panchina sottostante, che si nascondono il viso (già velato). Non bastano le nostre rassicurazioni per farle calmare, finché non mostriamo loro le foto. In Marocco, e più in generale nel mondo musulmano, non tutti amano essere fotografati. Una questione legata sia al pudore, soprattutto per le donne, perché le foto vengono considerate come qualcosa di intimo, che non esce dall’ambito familiare, che ad una lunga tradizione di iconoclastia.
Con il sole al tramonto, ci soffermiamo un po’ nel souk prima che anche l’ultimo dei suoi negozietti chiuda i battenti, per portare a casa un ricordo che non sia il solito souvenir superfluo che si trova ovunque. Proseguiamo verso il Riad e entriamo in un ristorante il cui ingresso non ha nulla di eccezionale ma che nasconde qualcosa… Salendo sulla terrazza, infatti, scopriamo lo charme del ristorante Kui Zin. Un’atmosfera rilassata e gioviale, a cui contribuiscono i due musicisti che con Oud (sorta di Mandolino), Chitarra e Tamburo, riempiono l’aria di melodie arabo-andaluse e classici del Maghreb.
Sul lato culinario le sorprese non mancano, optiamo per IL piatto tipico di Marrakech: la Tangia, a base di carne cotta per lunghe ore in un vaso di terracotta, al punto da farla sciogliere in bocca, e ci facciamo tentare anche dall’agnello all’arancia, per provare qualcosa di diverso rispetto ai soliti couscous-tajine. Quando l’aria si rinfresca, soprattutto per i turisti arrivati in canottiera (siamo ad inizio novembre, e la sera siamo a circa 23°C) ecco che arrivano dei plaid per riscaldare i più freddolosi.
Usciamo con queste belle melodie nella testa e, prima di rientrare al Riad, torniamo sulla famosa piazza Jemaa El Fna. Rispetto a qualche ora prima ora sembra irriconoscibile, un susseguirsi di stand che propongono grigliate, spiedini, tajines o lumache al cumino. Ogni stand ambulante ha il proprio numero e
un procacciatore di clienti che cerca di convincerci con argomenti di vendita originali ma non così convincenti: “venite da noi, 100% a prova di imodium!”
Qui e là assembramenti di persone in forme spontanee o in cerchio, attorno ad un cantastorie, un incantatore di serpenti, una povera scimmia incatenata, o per giocare alla pesca miracolosa (con le bottiglie di coca cola).
A mezzanotte, rientriamo a dormire prima che la nostra carrozza non si trasformi un un’enorme zucca. Ad aprirci, il nostro simpatico “receptionist” che ci informa, come se niente fosse, che il giorno dopo la nostra camera è prenotata per qualcun altro (anche se l’avevamo prenotata e tutto era confermato per 3 notti). Finalmente cogliamo la palla al balzo e vediamo la cosa come un’ottima notizia, cerchiamo (questa volta con ancora maggior scrupolo) gli altri Riad in zona e prima di addormentarci, ne prenotiamo uno senza l’ombra di un commento negativo.
L’indomani, dopo colazione, è la volta di scoprire i Giardini Majorelle. Dopo quasi mezz’ora a piedi arriviamo e… non siamo i soli: ci aspetta una lunghissima fila d’attesa! Cominciamo a chiacchierare con un signore che ci precede, ci racconta che è una guida (mostrandoci il tesserino) e, non essendoci ingresso riservato, deve anche lui aspettare come noi, allora ne approfitta per offrirci un po’ del suo sapere su questi giardini, dandocene un interessante assaggio. Incuriositi, una coppia di canadesi del Québec si unisce alla discussione per chiederci informazioni sulla loro prossima destinazione: Meknès. Non ce lo facciamo chiedere due volte e condividiamo con loro i consigli sulla nostra città d’adozione, il tempo vola così in fretta che siamo già allo sportello.
Che dire su questi giardini? Non ci dilungheremo sulla storia della vita di Jacques Majorelle, Pierre Bergé e Yves Saint Laurent, ma vi diremo che è la storia di artisti innamorati del Marocco, dei suoi colori, paesaggi e dei giardini islamici. Il Blu Majorelle contrasta con una natura lussureggiante e al contempo rilassante, che incita a stendersi sul bordo dell’acqua per fermarsi a meditare.
Uscendo dai giardini, attraversiamo la strada e scopriamo una postazione di prelievo biciclette, come se ne trovano nelle grandi città europee. E’ la prima volta che ne vediamo in Marocco, ma avevamo in effetti già notato un uso più disinvolto dei due ruote rispetto ad altre città marocchine già visitate. Considerato che la città è pianeggiante, si presta molto di più di altre all’uso della bici, ma ciò che sorprende ancor di più è il numero di donne alla guida di scooter o bici, cosa che a Meknes e in altri luoghi meno turistici è un fatto raro.
Ritorniamo nel cuore della Medina, dove un artigiano del legno ci da un’incredibile dimostrazione di abilità… con i suoi piedi! In qualche secondo trasforma un anonimo pezzetto di legno in una pedina per gli scacchi. Siamo esterrefatti e apprezziamo la sua simpatia e il sorriso con il quale ci accoglie, nel suo negozio/laboratorio c’è un’infinità di scrigni di legno uno più bello ed originale dell’altro. Il tipo di acquisti: locale, autentico e originale, che ci piace fare.
Dopo la cena in terrazza la sera prima, anche oggi, per pranzo saremo in terrazza, ma quella del Café Arabe.
A Marrakech, situata nel sud del Marocco, si può stare in terrazza praticamente tutto l’anno, e il clima è ancor più gradevole e mite in questo periodo autunnale.
Non senza sorprese, scopriamo un menu ricco di piatti della tradizione italiana, affianco ai classici marocchini. Decidiamo di farci un regalo con una caponata siciliana che mai avremmo pensato di mangiare in Marocco, seguita da un piatto di linguine ai frutti di mare e un filetto di pesce spada alle olive. Stiamo così bene su questi divanetti, baciati dal sole e cullati da una musica leggera, che ci resteremmo con piacere tutto il pomeriggio in modalità relax. Ma essendoci promessi di andare a visitare il Palazzo Bahia, chiuso il giorno prima perché scelto da un qualche regista come set del suo film, ci facciamo coraggio e riusciamo ad alzarci.
Varcando la soglia del Palazzo El Bahia, capiamo il motivo per il quale diversi registi hanno scelto questo posto per ambientarci i loro film. E’ un luogo fuori dal tempo, dove nessun elemento rimanda al secolo nel quale si vive, il posto ideale per staccare dalla realtà, ma anche per ammirare un’architettura splendida, fatta di dettagli minuziosi, che ricorda anche i palazzi dei Maharaja indiani.
Raggiungiamo poi il Minareto della famosa Koutubia, la più importante moschea di Marrakech, che ne è anche uno dei simboli. Tornando sui nostri passi, ri-attraversiamo Jemaa el Fna e incontriamo dei portatori d’acqua (guerrab) che si avvicinano per una foto e per una volta facciamo qualcosa che non siamo soliti fare: scattare una foto in cambio di soldi. Una volta, i portatori d’acqua, nomen omen, offrivano acqua in cambio di un’offerta. Ma con l’esplosione del turismo diciamo che la loro attività si è “diversificata” e in posti come questo i turisti (o chi, con una faccia bianca, sembra comunque tale) sono i primi che avvicinano.
Al calar del sole, andiamo a scoprire il nostro nuovo Riad, dove al mattino avevamo lasciato velocemente i nostri bagagli prima di raggiungere i Giardini Majorelle. Situato in un banale vicoletto, il cui primo edificio sembra essere crollato, il Riad Dar Alsaad è un gioiellino: ben tenuto, decorato e arredato con gusto,
l’accoglienza quella tipica marocchina cui siamo sempre stati abituati e la camera comoda.
Facciamo una piccola pausa per ricaricare le batterie nostre e della macchina fotografica mentre passiamo in rassegna le foto scattate finora, poi usciamo a cenare. Stavolta la scelta è andata su un ristorante che propone soprattutto insalate, panini e piatti semplici, il cui menu cambia di giorno in giorno. L’Henna Art Café, come lo spiega già il nome, propone un servizio in più oltre al menu. Se molti turisti che visitano il Marocco hanno voglia di farsi un tatuaggio all’henné, non si sa mai bene quali siano le precauzioni da prendere.
Quello noto come henna/henné naturale è una polvere giallo-verde ricavata dalle foglie di un arbusto: Lawsonia inermis. Ma esiste anche l’henna nero, a base di prodotti chimici e che può causare reazioni allergiche, anche gravi, che possono scatenare intolleranze a vita alle colorazioni per capelli e ai prodotti contenenti henné. I marocchini e le marocchine si tatuano le mani e a volte i piedi sia come segno portafortuna che per scacciare il malocchio, in particolare in occasione dei matrimoni. Per scegliere la tatuatrice si basano su una relazione di fiducia e sul passaparola. Per evitare di ritrovarsi con un tatuaggio raffazzonato e soprattutto evitare il rischio di reazioni allergiche,
meglio stare alla larga dalle tatuatrici di strada che spesso utilizzano henné nero, in condizioni igieniche precarie.
Per questo tatuaggio, Fork a scelto un motivo Amazigh (berbero), che la tatuatrice ha realizzato con cura per lunghi minuti, prima di farlo asciugare con l’aiuto di un ventilatore. Una volta asciutto, ha applicato una soluzione a base di zucchero e limone, per prolungare la durata del disegno sulla pelle. Ed eccoci ripartire con una calza di nylon che si abbina alla perfezione, in cui avvolgere il braccio prima di andare a dormire, per evitare macchie indelebili sulle lenzuola. Il giorno seguente non resta che grattare via l’henné essiccatosi. Il tatuaggio è rimasto ben visibile per due settimane ed è scomparso totalmente dopo la terza.
Una bella colazione marocchina e ritorniamo alla stazione ferroviaria, direzione Meknes.
A quando e dove per la prossima escursione?
Dove dormire a Marrakech?
Guardate qui e diffidate da chi non ha almeno 9 su 10 (parliamo per esperienza personale!)
Tutte le nostre foto di Marrakech:
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